SPEZIA ITALIANO INTERVISTA - Proprio alla vigilia d Juventus-Spezia, anticipo del martedì del turno infrasettimanale di Serie A valido per la 25esima giornata, il tecnico dei liguri Vincenzo Italiano è stato intervistato dal quotidiano Repubblica. Ecco le sue parole.
"Pirlo? Ho conosciuto un ragazzo appassionato e consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato. Ma se ti chiama la Juve cosa fai? Ti butti come mi sarei buttato io, anche se a me il tirocinio è servito moltissimo. Sono sicuro che ce la farà: è stato per vent’anni al centro del gioco e non è facile ragionare diversamente, ma gli basta attingere agli insegnamenti degli allenatori che ha avuto, come faccio io: quando ho un problema penso a quale soluzione avrebbe trovato chi mi allenava".
"Andiamo a sfidare chi sta dettando legge da anni, è affascinante anche questo. All’apparenza è un ostacolo insormontabile, ma anche la salvezza dello Spezia sembrava che lo fosse. Invece credo che in un modo o nell’altro stiamo riuscendo a creare dei problemi a chiunque, compensando il gap tecnico con l’organizzazione, la passione e l’attaccamento. E facendo più sacrifici degli altri. Ma pensare che non si soffra, tanto più con la Juve, è impensabile. Ma tanto è così: l’unico vero problema di noi allenatori è la partita".
"I più pensavano che ci avrebbero fatto a fettine, anche per via di tutte le difficoltà che avevamo in partenza. Il 20 agosto molte squadre erano già in ritiro e noi eravamo ancora ai play-off, il mercato l’abbiamo fatto di corsa, per tre mesi abbiamo giocato in campo neutro, pochissimi di noi conoscevano la serie A, molti sono stranieri al primo anno in Italia: con questi presupposti, se ci salviamo sarà più di uno scudetto, oltre che una svolta per le nostre carriere. Anche perché i risultati li stiamo ottenendo giocando bene. Io resto convinto che se non giochi bene non fai risultato e giocar bene vuol dire molte cose, vuole dire farlo quando hai la palla e quando non ce l’hai, vuol dire non avere un atteggiamento passivo. Però alla base ci deve essere l’amor proprio".
"E tutti lo sottovalutiamo, io per primo: sono stato capitano, regista, ero un giocatore di personalità e quindi pensavo che diventare allenatore sarebbe stato naturale, ma mica è così. Vieni catapultato in una realtà diversa dove contano la gestione, i rapporti, i particolari, le responsabilità.Quando giocavo, finiva l’allenamento, salivo in macchina e staccavo. Adesso il lavoro comincia proprio quando la seduta sul campo finisce. Non si tratta solo di allenare una squadra, ma è una responsabilità molto più ampia e magari passi ore a pensare a come muovere i giocatori dopo un fallo laterale o una rimessa dal fondo. È tutta un’altra vita, ma è una vita bellissima".